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Bruno Lisi: l’evoluzione della pittura astratta nel contesto romano degli ultimi decenni – Silvia Palermo

2.5. Dagli anni ’80 al 2009: le serie e i progetti

«Dipingo e sono cosciente che la professione del pittore non esiste, o non esiste più almeno da un certo punto in poi, che è qui inutile approfondire. Non esiste se non altro perché sono svaniti i termini per identificarla»1.

B. Lisi.

  • 1986-1989, Blu;
  • 1989-1991, Stele;
  • 1991-1993, Metacrilati;
  • 1991, Il Progetto per la Fondazione Ferruzzi;
  • 1993-1994, Otranto;
  • 1994-1997, Segni;
  • 1997-1998, Variazioni;
  • 1998-2001, Gesti;
  • 2005-2009, Corpi Estranei.
2.5.1. Blu

Nel 1988 B. Lisi presentò al pubblico il ciclo dei quadri Blu, la cui sperimentazione era iniziata nel 1986.

Questa serie venne creata da B. Lisi con l’intento di esprimere, attraverso il suo ormai elaborato astrattismo, una dimensione inconscia e irreale, nonché di analisi e riflessione della dimensione umana.

E’ una ricerca che si traduce in una grande difficoltà tecnica in quanto, se si osservano bene i quadri, si può notare un’espressione pittorica basata sugli accostamenti tra varie gradazioni di blu e, a volte, assieme ad altri colori, i quali generano una fusione tonale in alcuni casi uniforme e piatta, in altri casi dinamica e impetuosa. Il blu è il colore predominante, «il simbolo della spiritualità e dell’altro»2 e che Lisi utilizzava per indagare qualcosa di interiore e di profondo che permettesse di «oltrepassare la soglia tra la materialità e l’immaterialità»3, un linguaggio che testimoniava analisi di sé stessi e di ciò che c’è intorno attraverso una trascendenza del reale, per questo la serie si può considerare tra l’esperienze più inconsce e personali di B. Lisi.

A proposito di “soglia”, si prendano in esame i tre quadri appartenenti alla presente serie che vennero utilizzati per il progetto per la Fondazione Ferruzzi4, come vedremo sono stati intitolati “finestre sull’universo”, proprio per evidenziare questo passaggio irreale ed inconscio da un presente ad un altro parallelo, attraverso la sensibilità spiccata e significativa dell’artista.

Si prendano in considerazione alcuni quadri: ne Il luogo, si notino i due rettangoli di azzurro e blu inscritti l’uno dentro l’altro che fungono da base “solida”, metafora di un inconscio razionale, che viene invaso letteralmente da un mare di colore che lo ingloba fino a farlo scomparire, ma mai nulla è lasciato al caso, è un’invasione di colore d’impeto, ma sempre controllata e organizzata, mentalmente e artisticamente parlando (Fig.64 pag.82).

Ancora il blu si fonde con altri colori, nei Sincrono blu verde e Sincrono blurosa, si noti la definizione di base di un reticolo geometrico centrale di colore blu il quale, come nel caso precedente, indica il centro razionale della tela che viene invaso dalle pennellate sfumate ma intense, che P. Ferri ha definito «segni espansi e sgranati»5, di un blu ancora più scuro misto al verde e al rosa che, come vento incessante, s’insinuano piano in esso (Figg.65-66 pag.82).

I colori freddi usati da B. Lisi indicano un approccio energico ma attento al tema del vuoto tanto trattato dall’artista. Questi quadri sono una sfida che B. lisi ha vinto contro il vuoto, che riguarda soprattutto il significato del colore che non resta fine a sé stesso, ma gli viene conferito carattere e delineazione, attraverso la definizione di forme geometriche che però assumono altri significati, mutuati sulla percezione dell’artista e poi dello spettatore.

L’uso smisurato che l’artista fece del colore venne indagato proprio nell’intervista a B. Lisi fatta da parte di Marisa Volpi, nel passaggio tra il colore neutro, il bianco, alla variante netta del blu insieme ad altri colori accesi o meno, freddi piuttosto che caldi. B. Lisi disse che la ricerca partiva proprio dal bianco, che non veniva distrutto bensì incorporato in un altro colore in cui ne risuonasse “l’eco” evidente e tangibile, al di là della forma e dello spazio, e che simboleggiasse proprio questa ricerca che più in la altri critici definiranno sul piano della dialettica tra “il pieno e il vuoto”, un’eco che M. Volpi definì «qualcosa di lontanissimo che viene captato dalla tua sensibilità»6.

La simbologia pervade questi quadri, nasce dall’inconscio dell’artista, qualcosa che, come dice B. Lisi «è, tuo malgrado», esiste a prescindere, non si crea in nessun modo, già è presente e va espressa7, attraverso l’uso del colore che non esprime la conflittualità nel cercare il significato, ma il significato stesso, già pervenuto, infatti M. Volpi parla di “pace” e di “misticismo” non drammatico ma permeato di tranquillità, senza accenni di conflittualità interiore (Figg.67-68 pag.83).

Dopo questa serie B. Lisi passò alle Stele ma è opportuno anticipare che, nonostante la chiusura obbligata di ogni ciclo da parte dell’artista a simbolo della fine di una ricerca, il colore blu verrà ripreso, a metà degli anni ’90, con la serie delle Variazioni in forme solo apparentemente identiche.

Fig.64. B. Lisi, Il Luogo, 1986;

Fig.65. B. Lisi, Sincrono Bluverde, 1988;

Fig.66. B. Lisi, Sincrono Blurosa, 1988;

Figg.67-68. B. Lisi, Blu, 1986-1988;

2.5.2. Stele

Dal 1989 al 1991 B. Lisi fu impegnato in un nuovo ciclo che ebbe come tema, ancora una volta, la rarefazione del vuoto, ovvero le Stele, definite così per la forma allungata e imponente nonostante la piccola dimensione, ma anche dette Sfere, per l’uso della penna a sfera.

Come disse F. Moschini, «abituati, come eravamo alla puntigliosa meticolosità del “tutto pieno” […] è davvero sorprendente vederlo impegnato in un nuovo ciclo che sembra avere come proprio fondamento l’abbacinante rarefazione del vuoto»8.

Dopo aver infatti indagato a fondo il colore e il suo espandersi totale sulla tela, ritornò in auge il bianco che prima non era stato distrutto o dimenticato dal blu, bensì incorporato in esso e risuonante come un’eco. Il bianco adesso è l’elemento che viene messo in risalto e che a sua volta evidenzia l’elemento altro che rompe la sua univocità: forme indistinte di colore realizzate grazie all’utilizzo della penna a sfera.

La pittura sembra essere lasciata da parte perché molto lontana dalla resa che da la penna a sfera, ma è solo apparenza, in realtà B. Lisi riuscì, ancora una volta, a trattare l’opera in modo totalmente pittorico: si osservi la parte dove il segno di colore s’ispessisce, imponendo a queste “forme” anche un leggero sfumato9. La penna a sfera venne scelta, infatti, proprio perché conferiva a queste forme una totale asetticità, al contrario delle pulsioni e vibrazioni di resa pittorica che solitamente B. Lisi prediligeva come migliore forma di espressione propria. Un’asetticità ragionata, proprio perché questo accostamento al vuoto è calcolato, è un qualcosa di sconosciuto e che va indagato in modo attento e leggermente distaccato.

Queste forme, che occupano solo ed esclusivamente la parte alta della tela, sembrano quasi delle “presenze segniche” che B. Lisi ritaglia e conduce in una struttura verticale, attraverso un «tratto che poi attraverso un succedersi di variazioni e sovrapposizioni si espande»10, forme a volte molto grandi e cariche di colore, a volte più piccole quasi evanescenti (Figg.69-82 pagg.87-88).

Il segno conferisce movimento e tensione di una calma pacata, ritmi cadenzati a volte, ed impetuosi in altri, tornadi mossi dal vento e da una forza estranea che non ci è dato percepire ma solo osservare e fare nostra, forme che appunto «comunicano movimento allo spazio circostante, fino a produrre rotazioni vertiginose, avvolgimenti centrifughi che deformano volti e contesti, dissolvono e sciolgono fisicamente frammenti del corpo fino a disperderne i residui nello spazio»11. Sulle tele non ci sono solo rotazioni, ma anche forme più regolari e ordinate che verticalmente procedono verso il centro della tela, aprendosi e chiudendosi con una linea di demarcazione coloristica netta, quasi come un taglio sulla tela (Figg.77-80 pag.88).

Sembra quasi che queste presenze siano solo di passaggio, destinate a scomparire da un momento all’altro in modo inesorabile, «la mano ha dato inizio ad un tratto che poi attraverso un succedersi di variazioni e sovrapposizioni si espande sulla superficie bianca, si cancella ma allo stesso tempo si rafforza, fino a localizzarsi sul limite stesso della superficie, quasi a voler da essa sfuggire»12.

Sono ombre che attraversano lo spazio bianco: è come se la tela non fosse un limite circoscritto, sebbene sia una superficie misurata e controllabile,13 ma è come se permettesse, ancora una volta, un passaggio per raggiungere l’oltre che l’artista vuole più di ogni altra cosa, un oltre che è di fatto impercettibile in modo conscio e che vuole essere trovato e, infine, conosciuto nella sua enigmatica essenza. Per questa ragione il vuoto è intorno a queste forme ma è anche al loro interno, presenti a sé stesse.

Ancora, attraverso ogni singola forma B. Lisi sembrava partire «da un’assenza, da una memoria, da una traccia»14 quanto mai interiori, il vuoto si palesa attraverso di esse, è un apparire momentaneo che B. lisi coglie, in modo esclusivo, attraverso la sua sensibilità e la sua ricerca ossessiva e smisurata, “fantasmi mentali” che affiorano.

Scrisse F. Moschini: «Più che un veloce passaggio di nuvole, quelle apparizioni sembrano indicare un timore e nello stesso tempo un bisogno di prendere le distanze da quel vuoto che pure le ha fatte riaffiorare in un’oscillazione continua tra voglia di immergervisi e timore di sprofondarvi»15. Per questo si parla di rarefazione del vuoto, attraverso una poetica così complessa e articolata, un vuoto che sembra quindi apparire, o scomparire, in modo lento e inesorabile.

Figg.69-82. B. Lisi, Stele o Sfere, 1989-1991;

  1. 1 Cfr. M. Martini, depliant della mostra di B. Lisi alla Galleria “Il luogo”, Roma 1986;
  2. 2 Cfr. intervista a P. Ferri, pagg. 135-136;
  3. 3 Cfr. Ibidem;
  4. 4 Vedi, infra par. 2.5.4;
  5. 5 Cfr. P. Ferri, depliant della mostra di B. Lisi alle Sale del Bramante, “Cadenze Perfette”, Roma 1988;
  6. 6 Cfr. M. Volpi, depliant della mostra di B. Lisi alla Temple University, Roma 1984;
  7. 7 Cfr. Ibidem;
  8. 8 Cfr. F. Moschini, “la vertigine del vuoto”, Percorsi, segni, tessiture, 1960-1989, pag.3, Roma 1989;
  9. 9 Cfr. Ibidem;
  10. 10 Cfr. C. Subrizi, Come mettere in azione lo sguardo, in F. Moschini (a cura di) Bruno Lisi, Opere dal 1989 al 2001, pagg.17-19, Roma 2001;
  11. 11 Cfr. Ibidem;
  12. 12 Cfr. Ibidem;
  13. 13 Cfr. F. Moschini, “la vertigine del vuoto”, Percorsi, segni, tessiture, 1960-1989, pag. 3;
  14. 14 Cfr. Ibidem;
  15. 15 Cfr. F. Moschini, “la vertigine del vuoto”, Percorsi, segni, tessiture, 1960-1989, pag. 3, Roma 1989